Il Fisco perde il suo potere sui controlli: ora servono giustificazioni scritte e procedure più severe prima di agire.
Negli ultimi tempi se n’è parlato parecchio. Controlli incrociati, algoritmi inclementi, movimenti bancari passati al setaccio. L’Agenzia delle Entrate – dicono – non sbaglia un colpo, e quando sbaglia, lo fa con metodo. Ogni spesa fuori scala, ogni bonifico sospetto, ogni scontrino non coerente con il profilo fiscale può diventare l’inizio di un accertamento. E le segnalazioni, in effetti, sono arrivate. Tante. Più del solito.
A conferma che il fisco non dorme mai, e che oggi più che mai può arrivare ovunque. O almeno, così sembrava. Perché nel 2025 qualcosa è cambiato. Non nei controlli, sia chiaro: quelli restano, come sempre, puntuali. A cambiare, piuttosto, è l’autorizzazione a farli. Non si tratta di un blocco, ma di un freno. Un nuovo limite, imposto da chi – in Europa – ha deciso che il rispetto dei diritti del contribuente non può più essere una formalità.
Ed è proprio qui che si gioca la vera partita: tra le regole fiscali e le garanzie personali. E questa volta, a sorpresa, il vantaggio sembra andare tutto in direzione del contribuente.
Fino a ieri bastava poco. Un sospetto, una segnalazione, anche solo una valutazione discrezionale. E i controlli scattavano. La Guardia di Finanza si presentava in azienda, l’Agenzia delle Entrate bussava allo studio, e al contribuente non restava che collaborare. Il diritto alla privacy? In teoria c’era. In pratica, veniva spesso aggirato. Ora però qualcosa è cambiato davvero.
A far partire il cortocircuito è stata una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pubblicata il 6 febbraio 2025, che ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea: quello che tutela la vita privata, il domicilio, la libertà di lavorare senza intrusioni arbitrarie. Secondo i giudici di Strasburgo, la normativa italiana non offre abbastanza garanzie a chi subisce un’ispezione fiscale. Manca un filtro, manca un controllo terzo. E manca, soprattutto, un criterio oggettivo che legittimi ogni singolo accesso.
Per rimediare, il legislatore ha dovuto muoversi. Così è arrivato un emendamento al decreto fiscale n. 84/2025, approvato in Commissione Finanze, che cambia le regole del gioco. D’ora in poi, chi effettua un’ispezione dovrà spiegare nero su bianco perché lo sta facendo. Ogni verbale, ogni autorizzazione, dovrà indicare in modo espresso e dettagliato le motivazioni che giustificano l’accesso.
Insomma, i controlli restano. Ma il fisco non potrà più presentarsi alla porta a piacimento. Serviranno prove, circostanze concrete, e soprattutto – permessi veri.
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